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Un Nerazzurro Da Raccontare – Andrea Fortunato

Nerazzurro da raccontare 4

Per la quinta puntata di “un nerazzurro da raccontare” andiamo a vedere la storia di un bravissimo e leale ragazzo: Andrea Fortunato.
Fortunato nasce a Salerno il 26 Luglio 1971.Andrea giocava come difensore nel ruolo di terzino; dopo i primi calci al pallone all’età di 13 anni lascia Salerno dopo aver giocato nelle squadre di periferia e nella Giovane Salerno,una squadra locale dilettante, per partire verso il Nord entrando a far parte del Como, a patto con i genitori di proseguire sempre gli studi prendendo il diploma di ragioniere perché non si sa mai come può andare nel calcio.
Invece nel calcio ci entra da professionista giocando appunto con il Como nell’ottobre 1989 esordendo in Serie B nella partita contro il Cosenza vinta per 1 a 0. In quella stagione colleziona 16 presenze,la squadra subisce continui cambi di allenatore che di fatto la fa retrocedere. In Serie C1 viene chiamato alla guida della panchina comasca Eugenio Bersellini (allenatore del Pisa nella stagione 1993-94) che fa ritrovare serenità alla squadra e alla società facendola arrivare terza in classifica perdendo però poi lo spareggio play-off; Fortunato diventa una colonna portante della squadra giocando ben 27 partite.
Nell’estate del 1991 viene ingaggiato dal Genoa di Aldo Spinelli per 4 miliardi di Lire,una vetrina importante perché in Serie A, ma allo stesso tempo difficile perché titolare gioca il Brasiliano Branco,oltretutto un litigio con Maddè,vice allenatore di Bagnoli in quell’anno,lo fa allontanare dal Genoa che lo “parcheggia” in prestito al Pisa in Serie B.

Nella stagione 1991-92 colleziona 25 presenze nella squadra nerazzurra allenata da Ilario Castagner giocando con  calciatori del calibro di Chamot,Cristallini,Rotella,Simeone,Ferrante per citarne alcuni.
Un solo anno dove tutti hanno potuto ammirare la bravura e la classe di questo Calciatore.

L’anno successivo ritorna alla “casa base” del Genoa dove gioca per 33 partite e riesce a segnare anche tre reti,proprio nell’ultima giornata siglò la rete in Genoa-Milan terminata 2 a 2 che valse la salvezza per la squadra ligure. Il presidente Spinelli aveva richieste durante l’anno per Fortunato ma anche per Christian Panucci,e proprio Spinelli disse a Fortunato prima della fine del campionato che lo aiutasse a far salvare la squadra e poi lo avrebbe lasciato partire per le squadre che lo richiedevano, e così fu,il Genoa si salvò e Andrea Fortunato viene ingaggiato dalla Juventus dove gioca titolare e registra 27 presenze segnando un gol. Arrigo Sacchi,C.T. della Nazionale lo convoca qualche volta e il suo esordio in azzurro avviene il 22 settembre 1993 contro l’Estonia; per il successivo Mondiale negli USA, Sacchi non lo convocò a causa del rallentamento fisico, all’inizio inspiegabile, che causò anche dei diverbi con i tifosi accusandolo di scarso impegno.
Il dottor Riccardo Agricola (responsabile sanitario della Juve) lo fa sottoporre ad alcune visite e analisi,perché appunto Andrea sembrava affaticato,non giocava più come prima quando metteva l’anima (disse che ‘in campo darei l’anima anche per mille lire’),un concentrato di energia ed esplosività che all’improvviso sembrava spenta. Il 20 Maggio 1994 inizia la storia drammatica di Andrea Fortunato: gli viene diagnosticata all’ospedale Molinette di Torino una forma di leucemia linfoide acuta. Gli ultras bianconeri si strinsero attorno al giovane difensore chiedendo pubblicamente scusa per il trattamento che gli avevano riservato in precedenza. Dichiara di ‘voler vincere questa battaglia’. Fu trasferito all’ospedale di Perugia per sottoporsi ai trattamenti di chemioterapia e parziali trapianti cellulari da parte della sorella e dal padre , non potendo ricevere totale trapianto del midollo osseo. Il fisico di Andrea migliora e si parla di una totale guarigione  dalla malattia,viene convocato in occasione della partita contro la Sampdoria il 26 Febbraio 1995, ma comunque non scenderà in campo. Il padre gli dona cellule del suo midollo osseo e si vede qualche miglioramento,inizia anche un lavoro di riabilitazione in palestra,viene continuamente incitato e tempestato di telefonate dai suoi compagni di squadra,Vialli,Baggio e Ravanelli su tutti.
Si vede nuovamente ottimismo perché Andrea migliora; però è solo un illusione perché il 25 Aprile 1995 una banale influenza riesce a stroncare il fisico di Andrea ancora non del tutto guarito.
Il funerale si svolse a Salerno davanti a cinquemila persone,Gianluca Vialli e altri giocatori tennero discorsi d’addio davvero toccanti.
Andrea è stato un campione,avrebbe vinto e meritato tanto altro,era uno che dava l’anima in campo,dava tutto,lottava su tutti i palloni,poi purtroppo ha dovuto combattere la sfida più difficile. La malattia,l’ha affrontata come sempre con tenacia e con la voglia di potercela fare alternando alti e bassi di umore,  ha lottato con tutto se stesso,non ce l’ha fatta,ma per noi è sempre lì in mezzo al campo a rincorrere gli avversari,a saltare di testa e a correre sulla fascia fino all’ultimo secondo.
Dal racconto di Franco Marchegiani (compagno di Andrea Fortunato nella stagione a Pisa), tratto dal libro “una stella cometa”dedicato al giovane difensore scomparso, traiamo alcuni momenti della vita di Andrea.
Franco Marchegiani è di ruolo centrocampista e approda al Pisa nel novembre del 1991 “scaricato” dalla Lazio. Conosce Andrea proprio perché arrivano nello stesso periodo nella società pisana,dopo pochi giorni di allenamento gli confida: ‘ma te che ci fai qui? Sei da Nazionale’; e infatti poi fu convocato in Nazionale due anni dopo.
Andrea e Franco dopo poche settimane che si conoscevano decisero di prendere un appartamento da condividere e anche lì si dividevano i compiti.

<< Nella vita le persone che incontriamo non restano tutte allo stesso modo. Le rette che disegniamo non si incrociano sempre con quelle che gli altri disegnano nello stesso tempo e nello stesso spazio. Ci sono soltanto alcune persone, troppo simili a noi oppure così diverse da voler imparare sempre da esse, che possiamo senza nessun dubbio chiamare amici. L’amicizia non è un sacco vuoto in cui trovarci di tutto ogni volta che si vuole; quando questo accade c’è qualcosa che non va. L’amicizia, come diceva Aleksandr Herzen, è come l’eco: dà quanto riceve. Non si può pensare viva da sola, per inerzia, ma è nell’impegno di tutti i giorni che può crescere e fortificarsi. Andrea Fortunato aveva molti amici, che dell’amicizia ne riconoscevano il valore. Uno di questi è l’uomo ancora giovane che incontro nel caldo di un appartamento disteso a mezzogiorno: Franco Marchegiani. Marchegiani ha 6 anni più di Andrea e in un rapporto a due questo conta. Quando si incontrano a Pisa, non può più definirsi un giovane calciatore, avendo superato i 26 anni ed avendo sprecato la grande chance con la Lazio, dopo il folgorante avvio di carriera nel Pescara. È ormai un uomo di esperienza su cui puntare per tenere imbrigliato uno spogliatoio. Proprio questo gli chiede Ilario Castagner appena arriva a Pisa, più che parlare di schemi, di centrocampo a rombo e di servizi per le punte. E Marchegiani prende alla lettera il suo allenatore iniziando ad addomesticare i più giovani, tra cui questo ragazzo che viene dal Genoa ed è arrivato anche lui a novembre. “Arrivai a Pisa il mese di novembre, dopo che fui scaricato dalla Lazio in maniera brutale”, dice Marchegiani oggi con una stizza ancora non assopita dal tempo passato, “e vi trovai subito questo Andrea Fortunato di cui avevo già sentito parlare molto bene tra gli addetti ai lavori”. Ma la prima impressione supera anche le voci: “Dopo 3 allenamenti gli dissi: “Ma che ci fai qui? Tu sei da Nazionale”. Andrea dopo due anni fece avverare quella mia profezia”. Ma con Marchegiani più che del Fortunato calciatore, si finisce a parlare dell’Andrea ragazzo, perché è stato con lui che ha creato un’alchimia particolare, nata quasi come un colpo di fulmine, “tanto che decidemmo di prendere un appartamento in cui vivere insieme dopo solo poche settimane che ci conoscevamo”. Da quel momento Andrea e Franco diventano amici veri, puri, amici che non si dimenticano: “Vivevamo in simbiosi. Io cucinavo e lui mangiava, lui aggiustava le cose in casa quando io le rompevo, lui era al telefono quando a me serviva, io sotto la doccia quando aveva bisogno di lavarsi. Nonostante tutto riuscivamo a convivere senza grossi problemi, anche se a me una cosa di lui dava troppo fastidio, il suo non riuscirsi a svegliare di mattina presto”. In campo i due giocano in ruoli totalmente diversi e spesso Marchegiani guarda l’astro nascente dalla panchina. “Era davvero bravo, in quell’anno distrusse tutte le ali destre trovate sul suo cammino e io, per scherzare ma non troppo, iniziai a chiamarlo Antonio Cabrini, sfottendolo sul fatto che ero già grande nel 1982 mentre lui portava ancora i calzoni corti. In partita era furente, non lo riuscivi  a fermare o a convincere che stava facendo qualcosa di sbagliato. Quando le cose non andavano come lui pensava, non c’era allenatore, compagno di squadra o presidente che tenesse botta, faceva sempre quello che lui sentiva giusto in quel momento, riuscendo spesso ad avere ragione”. Ma Fortunato, come qualsiasi altro ragazzo della sua età, per giunta in una situazione così particolare, non era solo determinazione e coraggio e quei sei anni di differenza spesso diventavano un appiglio, uno scoglio su cui fermarsi a riflettere insieme: “Accadeva spesso che Andrea mi chiedesse consigli sia per quanto riguarda il calcio che per la vita privata. Si fidava molto di me, tanto che quell’anno gli insegnai a guidare la macchina, aiutandolo a prendere la patente. Ricordo anche che sua mamma mi chiamava spesso al telefono per avere notizie del figlio. Ho sempre pensato che chiamando me era come se non volesse dargli l’impressione di controllarlo”. Chi ti conosce davvero dice di te senza il bisogno di domande o di stimoli e Marchegiani parla di Andrea senza fermarsi mai: “Forse è l’unico calciatore con cui ho condiviso tutto, vivevamo ventiquattro ore al giorno insieme, abbiamo condiviso tutto (naturalmente tutto ciò che era condivisibile). Per lui, oltre ad essere un amico, mi sono sempre ritenuto un fratello maggiore e penso di averlo aiutato molto perché con il suo carattere così indomito e determinato creava spesso problemi al gruppo. Ma il gruppo subito lo perdonava, oltre che per le prestazioni in campo, anche perché era un ragazzo pieno di spirito e di grande generosità. Facevamo una bella coppia, era facile volerci bene e abbiamo vissuto un anno veramente speciale all’insegna della grande amicizia ma anche della professionalità”. Di quell’anno Marchegiani ne vorrebbe parlare per ore, ma l’agosto del 1992 arrivò presto e ognuno continuò la sua strada, Andrea dove Franco aveva già previsto. Ma i veri amici pure non incontrandosi, non si dividono mai completamente: “Per motivi di lavoro non ci siamo visti quasi mai nei due anni successivi ma siamo stati sempre vicini e in contatto”. E come dice un proverbio così abusato che da saggezza popolare è diventato boutade senza senso, gli amici veri si vedono nel momento del bisogno, e così è per Andrea e Franco che non si staccano più nel momento peggiore della vita di un uomo, la malattia, il dolore e la paura. “Stavo andando a Pontedera perché giocavo li, mi telefonò Ubaldo Righetti e mi disse che avevano ricoverato Andrea perché era malato. Quella notizia per me fu un colpo. Guidai fino al campo di allenamento come uno zombie. Mi allenai ma in testa avevo un solo pensiero, rivedere il prima possibile Andrea. A fine allenamento mi misi al telefono e cercai tutti i contatti possibili per capire come fare per andarlo a trovare”. Da quel momento Franco Marchegiani divenne per tutta la vecchia squadra del Pisa il punto di riferimento per sapere di Andrea e Franco ricorda ancora oggi come “tra gli altri, Chamot, Simeone, Taccola e Picci mi chiamavano spesso per sapere di Andrea”. Il percorso di Andrea divenne anche quello di Franco, che non riusciva a capire come sarebbe andata a finire e aggiungeva pena a pena perché “in quel periodo anche mio padre era nelle stesse condizioni di Andrea”. Le ultime settimane per Franco furono meravigliose e terribili insieme, in lotta tra la speranza che sembrava sensata e lo sconforto delle ricadute, tra un padre che iniziava un percorso verso la fine ed un amico che accelerava vero lo stesso destino. “Verso la fine mi sentivo sempre più spesso con la famiglia di Andrea, in particolare con il fratello Candido con cui siamo ancora oggi ottimi amici. Andai a trovarlo qualche giorno prima che ci lasciasse, c’era la partita della Juve e lui volle a tutti i costi guidare la macchina mentre andavamo a cena, in ricordo delle lezioni di scuola guida che gli impartii a Pisa. Riuscì a litigare anche con il ristoratore perché non si vedeva  la partita e decidemmo di cambiare ristorante. In quel momento ebbi l’impressione che fosse finalmente tornato tutto a posto e gettai un credito di speranza anche verso mio padre. Dopo cena andammo a casa e lui era stanco, aveva le terapie il giorno dopo. Ci siamo messi a letto e abbiamo parlato fino alle cinque del mattino di quello che eravamo stati in quell’anno indimenticabile, di quello che adesso bisognava fare per sconfiggere il male e del futuro che ci aspettava entrambi. Fu la notte più bella che ho vissuto insieme a lui. Ci salutammo la mattina e  da quella volta non lo vidi mai più. Qualche giorno dopo seppi della sua scomparsa”. Da quel momento Andrea vive da qualche parte insieme ad Andrea Marchegiani che non perde mai occasione di ricordarlo a tutti. Un solo rammarico forse gli resta: “il mondo del calcio dovrebbe ricordarlo più spesso”.

Tutta la storia di Andrea Fortunato la puoi trovare nel libro ” Una Stella Cometa ” di Davide Polito.

Alessandro S.

E adesso tocca a voi  completare questa scheda , scrivete il vostro aneddoto o un vostro ricordo legato a questo giocatore e  noi lo inseriremo qui di seguito.

I VOSTRI RICORDI

L’ho visto giocare a Pisa. Lo capivi immediatamente che
aveva una marcia in più. Di statura non molto alta, aveva dalla sua
un’andatura ,un passo, una velocità che lo trasformavano in un
cavallino bizzarro e imprendibile. Pochissimi riuscivano a crearsi
un varco sulla sua fascia sinistra, era un terzino arcigno che
rompeva senza indugi ogni tentativo dell’avversario di occupare il
suo spazio, riusciva a compiere delle sortite in avanti con la
capacità dell’ariete e la grazia di un eccellente ballerino.
Indimenticabile. Il miglior terzino visto a Pisa.

Armonia

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One Comment

  1. armonia

    06/01/2011 at 12:37

    L’ho visto giocare a Pisa. Lo capivi immediatamente che
    aveva una marcia in più. Di statura non molto alta, aveva dalla sua
    un’andatura ,un passo, una velocità che lo trasformavano in un
    cavallino bizzarro e imprendibile. Pochissimi riuscivano a crearsi
    un varco sulla sua fascia sinistra, era un terzino arcigno che
    rompeva senza indugi ogni tentativo dell’avversario di occupare il
    suo spazio, riusciva a compiere delle sortite in avanti con la
    capacità dell’ariete e la grazia di un eccellente ballerino.
    Indimenticabile. Il miglior terzino visto a Pisa.

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