Il Pisa Siamo Noi

Sandro Joan: L’eroe Senza Sorriso

Joan

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Era uno con la rabbia dentro. Non so da dove gli veniva, forse dal carattere chiuso fino all’introversione, forse dalla delusione subita alla Lazio. Sandro Joan sapeva di valere molto, era cosciente di non aver espresso tutto il suo valore e dunque di meritare più dei palcoscenici che gli avevano offerto. Per questo, anche quando segnava e sfogava la sua gioia sotto la curva, sul suo volto traspariva una felicità mista a rabbia.

Lo conobbi nella sede del Pisa, estate 1967, via Risorgimento 30. C’era la bella abitudine di presentare alla stampa i calciatori appena acquistati, lo stesso giorno delle visite mediche. Tra un accertamento sanitario e l’altro il puntuale segretario Leandro Sbrana trovava il tempo per un breve incontro con i cronisti. Ricordo ancora l’imbarazzo, il mio e il suo, alle prese con il cognome da appuntare sul taccuino: Joan? Con la h? No, all’italiana, come si legge…

Non fu un’intervistina facile perché Joan non aveva niente di quei ragazzi romani cresciuti come lui nella Libertas Centocelle, quei figli di borgata che cercavano la fortuna dandosi al calcio. Era alto, asciutto, di pochissime parole che tradivano appena l’accento romano, un carattere schivo e forse ombroso, oggi si direbbe un tenebroso da set cinematografico. Uomo difficile da scavare dunque, se non per quella rabbia che traspariva dai rimpianti: il debutto in serie A nella Lazio a 22 anni, che però non aveva creduto in lui, quindi il Cosenza, gli anni e le contestazioni di Verona.

A Pisa Joan venne quando aveva 28 anni, che all’epoca erano ­atleticamente ­più di adesso. Andò a far parte di “quella sporca dozzina” messa insieme da quel capopopolo che era Renato Lucchi e che avrebbe riportato il Pisa in serie A dopo 47 anni di peregrinazioni. Mascalaito, Cervetto, Piaceri, prima ancora Gonfiantini e poi lui, Sandro Joan, avvelenato dall’esperienza di Verona e voglioso, come i suoi nuovi compagni, di rivincita.

E che rivincita! Una clamorosa galoppata nel campionato cadetto, soli 14 giocatori che vinsero il campionato con un turno di anticipo, si potrebbe dire, visto che l’ultima partita il Pisa osservava il turno di riposo. Joan ne fu il perno centrale, interno destro classico con la maglia n. 8, capocannoniere con 12 gol all’attivo, alla pari di “uccellino” Manservisi. Una stagione indimenticabile, costruita sulla potenza dell’attacco. Inizio con i fuochi di artificio: cinque gol al Messina, sei al Bari ( o viceversa, cito a memoria) tre al Livorno in un derby memorabile… Poi un finale con il fiato grosso, il Bari che inseguiva e recuperava punti tanto da aumentare la suspence e l’angoscia, uno stato d’animo che fece giustamente da detonatore all’entusiasmo.

Sandro non sorrise neppure quel giorno. Rimase serio, accanto alla sua bella ragazza di Marlia che lo veniva a prendere alla fine degli allenamenti e se lo riportava nella sua dimora lucchese. Non c’era tristezza nel suo volto, ma la consapevolezza di quanto sono effimeri i sentimenti e le passioni, anche quelle più sfrenate. Le sue gioie le regalava sul campo, mulinando le lunghe gambe, alzando la testa a trenta metri dalla porta, per cercare il compagno o la staffilata di sinistro. Quelli erano i suoi gol, poi li avrebbero definiti euro­gol, autentici siluri a mezza altezza che trasformavano i portieri avversari in tanti San Sebastiano trafitti dalle frecce.

Quanti sorrisi ci hai regalato, caro Sandro… Quante urla strozzate in gola per non tradire il doveroso aplomb delgiornalista…

Però c’è un episodio, nella carriera di Joan, che non ho mai svelato e che ho conservato gelosamente fino ad oggi, che è un giorno particolare, perché Sandro non è più tra noi. Ed è legato alla tripletta che mise a segno la domenica del 2 maggio 1971 all’Arena contro l’Atalanta. La partita nascondeva un accordo, che però non fu rispettato. Doveva finire in parità e invece il Pisa rifilò quattro gol agli altri nerazzurri. L’Atalanta di Giulio Corsini era capolista e a poco più di un mese dalla fine del campionato voleva amministrare scrupolosamente il vantaggio per tornare in serie A. Quindici giorni prima, tramite i buoni uffici del suo osservatore Umberto Marranini, pisanissimo, aveva pattuito lo 0-­0 a Livorno. Altrettantodoveva avvenire a Pisa.

Alla vigilia, giorno della festa del lavoro, le due squadre si ritrovarono nel pomeriggio allo stesso cinema, l’Ariston. Proiettavano ­ ironia del momento “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”.Quando uscimmo si cominciò a bisbigliare del pareggio…

In campo, il giorno dopo, le cose andarono diversamente. Palla al centro e dopo 10 minuti Joan si fa largo al limite dell’area e spara uno dei suoi missili: 1­0. Fra gli atalantini comincia a serpeggiare il malumore. Ancora 5 minuti e Sandro Joan, colpevolmente lasciato libero, raddoppia. Gli atalantini non ci vedono più, passano davanti alla panchina del Pisa schiumanti di rabbia. Il capitano Leoncini (ex juventino) fa ampi segni al trainer Umberto Mannocci, che risponde con sguardi allibiti. Prima del riposo Joan si libera ancora, converge verso l’area e colpisce di nuovo: tre a zero. La partita ruzzola tutta dalla parte del Pisa, l’Atalanta precipita nel dirupo. Nel secondo tempo Barontini farà 4-­0.

Negli spogliatoi accade di tutto. Le ire dei bergamaschi sono incontenibili. Il primo ad essere insultato è Umberto Mannocci, il “Bechero” livornese tornato sulla panchina del Pisa. E qui c’è la pennellata dell’artista che dipinge il carattere di Sandro. Mannocci ricorre alla verità, un colpo teatrale: indica Joan con il dito e sbraita: “E chi glielo diceva a quello li che non doveva segnare…”

Non era una furbata. Joan fece il suo dovere e nessuno avrebbe avuto la faccia per dirgli che quella era una partita “strana”, senza soldi, ma combinata. Quando leggo certe cronache sul calcio­scomesse mi riconcilio con il volto serio (e sereno) di Sandro, un professionista esemplare fino a metterti in soggezione e a vanificare qualsiasi camarilla.

Piccola appendice. Gli atalantini non si rabbonirono: lo stesso pomeriggio il fattorino delle Poste suonò al campanello di Umbertino Marranini per recapitargli un telegramma del presidente bergamasco Achille Bortolotti. I telex costavano un tanto a parola ma il presidente spese poco: “Licenziato”.

Fu l’inizio di un’altra storia. Volete sapere come andò a finire? L’Atalanta fu promossa in serie A, il Pisa retrocesse in serie C per la differenza reti accumulata nella fatal Novara (7-­1). e in molti dissero che dietro quella terribile e infamante scoppola vi fosse la mano vendicativa dell’atalantino Bortolotti, molto generoso con gli azzurri piemontesi. Ma chissà.

Joan resterà in nerazzurro fino al 1973 e il Pisa fu la sua ultima squadra, probabilmente quella del cuore. Non l’età, ma la passione gli impedirono di andare altrove. Ha fatto l’impiegato di banca e pare abbia anche lavorato per qualche club importante (il Milan) alla ricerca di giovani talenti.

Caro Sandro, voglio ricordarti così, con la h o senza la h, davanti alla vetrina del Pisa con le coppe e i trofei, come quel giorno di 42 anni fa. Ma almeno da lassù, mandaci un sorriso.

GIULIANO FONTANI

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