Il Pisa Siamo Noi

Quel Pugno al Cielo Sferrato da Gattuso

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Guardati, Carlo; ché ti viene addosso, tanto furor ch’io non ti veggo scampo… di forza e di sapere che vivea teco; e tu rimaso in tenebre sei cieco. (Ludovico Ariosto, L’Orlando furioso).

Sono venuto via dall’Arena che erano quasi le otto di sera perché ci sono dei giorni che non vorresti finissero mai. Nel piazzale ormai deserto ho rivisto, come in sogno, tutte le immagini di un memorabile pomeriggio primaverile, mi è passato davanti, non so quante volte, l’ovale dell’Arena fremente e schiumante, i tifosi spallini con le loro bandierine celesti di nylon, l’unico amore gridato dai nerazzurri sulla sponda opposta. Ma l’immagine che mi porto via e che la sera ritrovo su tutti i forum è quella di Gennaro Gattuso che finalmente si concede non fugacemente al suo pubblico, lo ripaga con un pugno al cielo che è un’esplosione di energia, di rabbia e felicità, uno sfogo che è un abbraccio e che vale anche come una solenne promessa.

Quel pugno in aria l’ho sentito. Un cazzotto che ha smosso più aria delle pale di un elicottero, che ha scatenato una felice brezza di vittoria arrivata sulla fronte dei pisani e li spettinati tutti quanti. Ci siamo sentiti accomunati da una sensazione condivisa perché la liberazione del condottiero era la liberazione di tutti, il suo slancio, la sua forza, erano lo slancio e la forza di tutti. Meglio di una bandiera da sventolare.

Quel pugno sembrava voler spaccare la storia. Quella del Pisa, s’intende. Non andiamo oltre, perché il resto sarebbe sciocca retorica. Ma i diecimila dell’Arena hanno capito, anche senza parole perché certi gesti sono più loquaci di un comizio e certe fotografie non hanno bisogno di didascalia. Un cazzotto agli spettri che troppo spesso affollano le giornate dell’Arena, il gol del Brescello, quelli di Bergamo, quello del Brescia. Uno schiaffo violento ai fallimenti, al passato senza gloria e con scarsa dignità, alle beffe atroci, al pomeriggio di Latina e a quello di Lecce, a quello di Frosinone. La Via Crucis al Golgota senza mai una Resurrezione, al punto da far coniare a un simpatico gruppo di tifosi organizzati che frequenta la gradinata uno sfogo ironico e rassegnato: Mai una gioia…

Uno spettro che per una mezz’ora ha volteggiato un’altra volta sull’Arena, quel gol spallino venuto da una deviazione di testa, un tiro abortito, il pallone che rimbalza nell’area piccola e quasi non ha la forza di finire la corsa nel sacco. Alla fine della partita Fabrizio Lucchesi ha detto di aver ingerito quel gol con naturalezza, come un bicchiere di acqua, ha detto proprio così, perché ha visto la reazione dei suoi ragazzi improntata alla serenità e alla fiducia. Gli ho detto che per me invece è stato un bicchiere di veleno e che dopo 55 anni di partite e tanta cicuta mi era venuta la voglia di piantare tutto lì. Ma aveva ragione lui, un bicchiere di acqua e niente più perché i fantasmi sono svaniti con due colpi, nel giro di 10 minuti della ripresa, che sono venuti dai due giocatori che meglio rappresentano il Pisa, vale a dire Peralta che è il presente rivolto al futuro e Mannini, il passato che torna sempre e non finisce mai…

Mi sono emozionato, lo confesso, aggrappandomi alla sciarpetta dell’amico Ardimanno come a un feticcio che mi aiutava a vincere la debolezza dei nervi. Perché quando vedo Mannini che esulta come un pazzo, la mente corre a suo padre, Alessandro, che le sue corse di giubilo le faceva fra i pali. E in questa proiezione tra il padre e il foglio c’è un transfert fantastico, quella di una passione senza età semplicemente perché si tramanda attraverso le generazioni. Ricordo quel giorno del giugno 1967 quando alla vigilia di un decisivo (e poi non fu decisivo…) Venezia – Pisa il dottor Valfridio Bottai mi fece un discorsetto come per passarmi il testimone: Domani io non posso venire a Venezia, fai tifo anche per me…

Ora il vecchio sono io. E ieri ho osservato due bambini, un maschietto e una femminuccia vestiti con la maglietta di Varela. Forse per la prima volta salivano i gradoni dell’Arena. Spero custodiscano gelosamente l’immagine di Rino Gattuso, quel pugno in cielo che ci unisce, quello schiaffone alla sfortuna e ai detrattori, agli scettici e ai critici di professione che erano pronti a tessere le lodi di una Spal capace di vincere anche senza fare un tiro in porta. Ci saremmo umiliati con il cilicio fustigatore…

Quel cazzotto ­Gattuso non lo dirà mai­ ha anche altri destinatari. Come tutta l’epica che si rispetti le interpetazioni sono molteplici. Doveva essere il gesto simbolico del condottiero nel momento e nel luogo eroico, non a caso in uno stadio che si chiama Arena e per giunta Garibaldi. Deve essere stato amaro, per lui, sentire e leggere apprezzamenti affatto benevoli nei suoi confronti specialmente dopo la partita di Siena. Le critiche sono sempre accettabili, quando pronunciate civilmente e ci stanno quando si deve scegliere la formazione una volta la settimana e qualche volta anche due volte la settimana. Ma la visione d’insieme non deve mai venire meno.

Ha ragione Gattuso quando dice che al Pisa ci tiene molto perché questa è la sua creatura. Ed è vero perché in questa squadra c’è il suo dna, la grinta, la lealtà e la tenacia. Non occorrono esami genetici. Una scorza dura, calabrese fino all’osso. Fin dall’inizio, con il suo carisma, Gattuso ha proiettato il Pisa in una dimensione perfino superiore alle sue qualità intrinseche. Poi, strada facendo, ci possono essere stati degli errori di valutazione. Ma siamo nel campo dell’opinabile. E poi, chi non ne fa?

I meriti di Gattuso li riconoscono tutti, anche coloro che inizialmente gli hanno fatto scontare, sotto forma di diffidenza riflessa, il sodalizio con Lucchesi. Perché nella Pisa di guelfi e ghibellini, guelfi bianchi e guelfi neri, c’è anche questo. I pregiudizi e le battute infelici, qualche volta anche solo la paura di illudersi e rimanerci male. Le qualità di Gattuso le conoscono gli avversari e anche gli arbitri. Li riconoscono, a modo loro, anche i mandarini del calcio che sgovernano la Lega Pro perché la voce di Gennarino ha grande eco, giustamente, in tutta Italia e nell’Europa calcistica. Si è già sentita una volta, senza enfasi ma con il sacro fuoco dell’indignazione di un campione onesto.

Quel pugno al cielo sprigiona un’energia esplosiva perché arriva alla fine di una giornata esaltante, in cui ci siamo goduti la grande gioia del riscatto, intorno alla quale forse sarà più facile cementare un’unione di cui il Pisa ha tanto bisogno.

A Lucca, a Lucca…

GIULIANO FONTANI

Foto di copertina di Leonardo Donati

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6 Comments

  1. Massimo

    04/04/2016 at 20:05

    Grazie Giuliano,che riesci a trasformare in parole tutte le sensazioni che un vero tifoso vive ogni maledetta domenica…forza rossocrociatiiiii

  2. Andrea bettini

    04/04/2016 at 19:46

    Mi sono venuti i brividi… Che dire!!

  3. paul

    04/04/2016 at 18:43

    Da brividi…..

  4. mau1933

    04/04/2016 at 18:18

    Grazie a Fontani,eccellente giornalista di lungo corso e grande penna sportiva.Il suo “inciso” sul 1967 e quindi su quella meravigliosa squadra che ci portò in A contro ogni pronostico, meritandosi espressioni di ammirazione a livello nazionale (vd Guerin Spotivo dell’epoca che invitava a venire a Pisa per vedere il bel calcio e tanti gol), mi ha commosso quanto il “pugno” di Gattuso.A Venezia c’ero anch’io con moglie e figli,come tantissime altre famiglie pisane a dimostrazione che l’amore per i ns.colori non conosce epoca.Questo mi denuncia per quello che sono:un vecchio,ma vecchio davvero, tifoso,cui l’età,le esperienze,le illusioni spesso tradite,non hanno sinora impedito di andare all’arena,magari un pò barcollando,anteponendo la voce del cuore alle contrarie ragioni dell’intelletto.

  5. bruno56

    04/04/2016 at 16:00

    Grande Giuliano, hai scritto con il cuore!

  6. Raffaello

    04/04/2016 at 15:55

    Complimenti, sensazioni stupende.

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