Il Pisa Siamo Noi

In Viaggio con il Pisa…a Prato – A Cura di Giuliano Fontani

I Viaggio

Non è certo la squadra di calcio il maggior vanto dei pratesi. Da
ventotto anni la formazione laniera milita nei campionati di terza
serie, nelle mani di una famiglia – i Toccafondi – che il fondo
l’hanno proprio toccato in fatto di simpatia e popolarità fra i
tifosi. Ormai alla partita non ci va più quasi nessuno, generazioni di
pratesi hanno perso l’abitudine di frequentare lo stadio, molti
giovani non ci hanno mai messo piede. Le alternative sono la
Fiorentina, peraltro odiata da molti per motivi di campanile, e di
converso la Juventus. Un esempio, quello del Prato, da non seguire se
non si vuole andare incontro al progressivo distacco degli sportivi e
alla desertificazione dello stadio.
I vanti di Prato sono altri. Anche la sua storia è molto diversa
dalla realtà attuale. Qui dove oggi c’è una città industriale e di
immigrati, c’era un centro che è stato per molto tempo agricolo e
commerciale. Per trovarlo bisogna fare un salto nella bellissima
piazza Mercatale, il grande ovale al centro della città che
raccoglieva il flusso dei contadini provenienti con le loro merci
dalle piccole strade della Calvana e del Mugello. Ora è un grande
parcheggio a cielo aperto, che non rende giustizia alle sue forme. Ma
prima ancora di essere un grande centro agricolo Prato è stata una
capitale mercantile. Uno dei suoi vanti è quel Francesco Datini,
eternizzato in una statua piazzata davanti al municipio, considerato
forse un po’ scherzosamente l’inventore della cambiale. Un
commerciante del medioevo, figlio di un modesto oste, che importava
spezie da tutto l’oriente e che ebbe l’idea di dare in pagamento ai
suoi creditori, oltre alla sua stimata parola, una cosiddetta lettera
di cambio. Una promessa dunque, un assegno o una cambiale moderna. Ma
Datini fu anche un uomo intelligente e munifico, lasciò ai pratesi un
monumentale archivio di studi economici del suo tempo e un lasciato
davvero generoso alla città..
La città ha cambiato pelle. Definizione che viene bene per ricordare
un altro grande pratese, Curzio Malaparte, di cui parlerò più avanti.
Prato è divenuta una città industriale nel settore di una manifattura
che potremmo dire nata in famiglia, i telai per filare la lana. Una
crescita esponenziale, una voglia di lavorare e di guadagnare che
molti, adesso, riconoscono nei loro competitors del momento, i cinesi.
I telai scorrevano giorno e notte, al punto che un sindaco dovette
emettere l’ordinanza di fermarli dalle una alle tre di notte per
consentire alla gente di dormire. Una produzione senza soste che
inondò i mercati di tutta Europa, così quando oggi i pratesi lamentano
la concorrenza della gente con gli occhi a mandorla, altri ricordano i
tempi in cui “i cinesi eravamo noi e facevamo chiudere interi
distretti tessili, dal Galles alle Fiandre”.
E’ una legge del contrappasso dantesco che chissà come avrebbe
commentato un altro grande pratese, avesse vissuto questi tempi. Mi
riferisco a Curzio Malaparte che lo spirito dei toscani lo raccontò in
un libro maledetto. Il suo vero nome era Kurt Erich Suckert ma scelse
bene il suo pseudonimo perché non si risparmio in male-parti. Con noi
pisani ebbe un rapporto di amore e odio. Scrisse che siamo “una razza
strana” e anche gente dal carattere “sfuggente e insincero”. Però,
dopo una degustazione di cèe da Nilo Montanari, sotto il casino dei
nobil, riconobbe: “i pisani sanno cucinare”. Si spinse anche oltre:
“Imparate dai toscani che non c’è nulla di sacro a questo mondo,
fuorché l’anima… Le anime dei toscani sono maschie, come si vede da
quelle che escono di bocca ai morti del Camposanto di Pisa, il solo
camposanto al mondo. Gli altri sono cimiteri”.
Ah, l’anima! Noi la perdemmo a Prato, una domenica di primavera del
1958. C’ero anch’io, bimbetto al braccio del padre, sulla tribunetta
del Lungobisenzio. Perdemmo uno a zero da una squadra che aveva
giocatori del calibro di Mencacci, Dell’Angelo, Cervetto, che poi
divenne nerazzurro. Ma non perdemmo solo sul campo. il Pisa fu
denunciato da un misterioso personaggio, che era il factotum del
Prato, per il tentativo (non riuscito) di acquistare il risultato di
quella partita. Aveva conservato una salvietta di un ristorante di
Livorno dove la combine fu sottoscritta goliardicamente e e
stupidamente dai contraenti. Poche settimane dopo comparve il
misterioso personaggio dello scandalo, i giornali lo chiamarono il
superteste. Davanti ai giudici del calcio tirò fuori dalla tasca la
salvietta galeotta e il Pisa fu condannato e penalzizato di 10 punti
in classifica. Dal secondo posto precipitammo in fondo. Se non
vincevano l’ultima partita contro l’Ascoli (che si chiamava Del Duca)
i nerazzurri sarebbero precipitati in serie D.
Torniamo sulle sponde fredde de lungobisenzio sperando
nell’indulgenza del vento che soffia dalla Calvana. Ma chiudiamo con
un gioco, anzi un quiz: chi era quel misterioso supertestimone dello
scandalo che fece condannare il Pisa?
A chi indovina la risposta non verrà niente, se non il riconoscimento
di seguire da tanti anni il Pisa e di non aver perso la memoria.

GIULIANO FONTANI

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