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La Nostra Arena. La Nostra Vita.
- Updated: 10/04/2017

Confesso che non volevo scrivere alcunché circa la giornata di ieri, con l’Arena a porte aperte a disposizione della cittadinanza.
Certe cose non vanno descritte, vanno solamente viste ed ammirate. Vissute mi viene da dire, con la mente e con il cuore.
Ma non ce l’ho fatta.
Troppe le emozioni che la giornata di ieri mi ha lasciato. Ed una convinzione, che lascio volutamente quale chiosa finale.
Impossibile infatti non emozionarsi nel vedere il fiume di gente che ha partecipato all’evento, incuranti del caldo, incuranti del sole cocente, incuranti della sconfitta rimediata contro il Cesena, incuranti del baratro della Lega Pro sempre più vicino.
Donne ed uomini. Giovani e meno giovani. Ma soprattutto tanti bambini. Quei bambini che dopo molto tempo quest’anno sul litorale ho visto giocare a pallone sentendo urlar loro : Io sono Mannini ! Io sono Varela !
Una conquista, dopo anni e anni di immedesimazioni nei vari Buffon, Icardi, Messi e Cristiano Ronaldo.
Trovo l’amico di una vita Senio e sua moglie Francesca, con due delle loro quattro gemelle già vestite di rossocrociato. E ti trovi a pensare che forse il futuro può ancora regalarci qualcosa di bello.
Intorno a me si muovono come api industriose gli splendidi ragazzi dell’Associazione Cento : si sgolano per raccontare ai presenti cosa è l’Arena Garibaldi, cosa è il Pisa, cosa significa portare addosso i nostri colori.
Li guardo e vedo ragazzi come me, 40 anni poco più o poco meno, cresciuti a pane e Romeo e quindi inevitabilmente stregati per tutta la vita. Marchiati a fuoco nel cuore e nell’anima.
Penso ai più giovani, cresciuti sulla poltrona di casa e con il telecomando di Sky in mano mentre noi lottavamo contro Monteriggioni e Tritium. Abbiamo perduto una generazione, c’è poco da fare purtroppo. E mi rattristo.
Il tour prosegue fra maglie, cimeli, spogliatoi e fotografie storiche. Maradona, Careca, Simeone e Dunga sono tutti intorno a me. Brividi in ogni parte del corpo.
Si passa anche dalla sala stampa : ci passo ore ed ore ad ascoltare le conferenze di mister Gattuso, a riorganizzare le idee dopo giornate complicate come quella di sabato. Intorno a me pochi colleghi e molti amici, magari con le mie stesse sensazioni. È bello non sentirsi mai troppo soli.
Ma il clou della visita è salire sul rettangolo verde, calcato in 108 anni di storia da campioni e da bidoni. Da lì l’Arena vuota è ancor più bella, quasi maestosa nel suo illogico silenzio.
Alle mie spalle la maglia strappata del grande Klaus. Il cristiano ha la sacra sindone di Torino ; il pisano ha la numero 7 strappata di Bergreen. Non è blasfemia, è la verità pura e semplice.
Sul prato dell’Arena mi isolo dal gruppo, chiudo gli occhi per trovare la concentrazione, li riapro e mi guardo intorno. Ed ecco la magia tanto cercata.
Alla balaustra della Nord Maurizio Alberti suona il suo tamburo.
All’ingresso del settore vecchia guardia l’amico Roberto Frassi fuma la sua solita sigaretta.
Mi volto verso la tribuna e vedo Marco Barabotti e Giuliano Fontani discutere amabilmente, il mio amico Giuliano con l’immancabile sigaro a tenergli compagnia.
Un ultimo sguardo verso il campo : ci sono Sauro che lo annaffia e Francesco Batoni che sta scattando fotografie a destra ed a manca.
Basta. La mente si annebbia, gli occhi si velano. Devo scappare via, altrimenti chissà quanti altri amici avrei visto tutto intorno a me.
Il tour finisce, si torna a casa. Non prima di aver fatto serata con gli amici della sala stampa. Simone, Michele, Chiara, Andrea. Persone con le quali da anni condivido chilometri, gioie e dolori.
Nel letto di casa mia. Il sonno non arriva, le emozioni mi sommergono nuovamente nonostante mi fossi ripromesso di non cadere in tentazione.
L’Arena. Gli amici. I colleghi. Gli encomiabili ragazzi dell’Associazione Cento. Senio, Francesca e le loro splendide principesse. I giocatori che ho visto, che ho amato e che ho odiato. Il ricordo di chi mi ha lasciato troppo presto solo a combattere per una fede. Per un ideale.
Queste sono emozioni vere. Questa è vera vita.
Ah, mi dimenticavo la chiosa finale. La convinzione arrivata poco prima che il sonno prendesse il sopravvento.
La vita è troppo breve per non essere pisano.
Gabriele Bianchi